La progettazione senza barriere architettoniche viene ancor oggi identificata da alcuni come un tipo di progettazione “dedicata” alle persone con disabilità, con soluzioni e accorgimenti rivolti espressamente e unicamente a soddisfare un’utenza con esigenze speciali. Si tratta di un approccio che va decisamente superato e relegato ad un retaggio del passato. Vediamo il perché di tutto ciò e le modalità attuative dei principi della progettazione senza barriere.
Ancora oggi ci accade di osservare che la progettazione senza barriere architettoniche venga identificata da amministratori e tecnici come un tipo di progettazione “dedicata” alle persone con disabilità, ovvero concepita con soluzioni e accorgimenti rivolti espressamente, e unicamente, a soddisfare particolari esigenze legate a situazioni di disabilità funzionale. A nostro parere, si tratta di un tipo di approccio che va decisamente superato e considerato come un retaggio del passato.
Progettare il superamento delle barriere architettoniche prevedendo spazi speciali o dedicati è stata l’idea alla base di molte soluzioni spaziali di diversi decenni or sono, quando si parlava ancora di progettazione per invalidi o handicappati.
Ma nel frattempo la cultura della progettazione senza barriere si è evoluta, e a partire dagli anni Novanta si è aperta ad un approccio inclusivo con l’introduzione dei principi della ProgettazioneUniversale.
Da quel momento si è creato uno spartiacque culturale rafforzato dall’evoluzione del concetto di disabilità e successivamente codificato nei principi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità: non più spazi riservati o dedicati ma luoghi per tutti, accessibili e inclusivi. Ambienti e servizi idonei a favorire la socializzazione senza discriminare, indipendentemente da condizioni di limitazione fisica, sensoriale o cognitiva.
A rafforzare questa esigenza evolutiva viene in aiuto anche il quadro normativo italiano di riferimento. Prima tra tutte vi è la Legge 13 del 1989 con il suo Decreto di attuazione, il DM 236 del 1899, le cui disposizioni non prevedono in alcun modo soluzioni e spazi dedicati. Prova ne sia che non esiste neppure un layout o un prototipo di bagno accessibile del tipo che talvolta troviamo erroneamente identificato come “bagno per disabili”. Infatti, il concetto di barriere architettoniche contenuto in queste normative riguarda tutti.
Esse sono definite secondo tre tipologie di ostacoli:
– gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
– gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti;
– la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
Conseguentemente, le soluzioni senza barriere architettoniche devono poter riguardare “chiunque”, con l’attenzione alle esigenze di chi ha ridotte capacità motorie o sensoriali.
Non appare dunque ipotizzabile una diversa interpretazione che, prendendo spunto dalla normativa sopra citata, realizzi spazi che non siano pensati in termini di una fruizione generalizzata, ossia utilizzabili il più possibile da tutti.
Inoltre, i principi della Convenzione sono stati recepiti in Italia con la Legge di ratifica n. 18 del 2009 e sono divenuti parte integrante del nostro quadro normativo.
Nella Convenzione ONU si legge che “Per progettazione universale si intende la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La “progettazione universale” non esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari.”
In sintesi, la progettazione senza barriere architettoniche secondo la normativa vigente (sia prima che dopo la ratifica della Convenzione ONU) è quella progettazione che si rivolge a tutti e, in particolare, a chi ha una ridotta capacità motoria o sensoriale.
Ma in cosa consiste una progettazione senza barriere e inclusiva? Quando e come va adottata, e quali sono le motivazioni formali, etiche ed economiche che ne costituiscono le fondamenta?
Non potendo esaurire il tutto in poche righe, è importante fissare alcuni principi.
Quando progettare senza barriere?
In generale dovremmo progettare sempre senza barriere ma, se ci atteniamo alle normative vigenti, i principi della progettazione accessibile si devono applicare nel momento in cui l’opera ricade nel loro campo di applicazione.
Vi sono due filoni normativi su questa materia e l’applicazione dei loro criteri va messa in relazione al tipo di spazio – se pubblico, privato, o privato aperto al pubblico – e al tipo di intervento – se nuova edificazione, ristrutturazione, manutenzione straordinaria e altre tipologie di opere.
Come progettare senza barriere?
Sono stati definiti tre diversi livelli di qualità dello spazio costruito: l’accessibilità, la visitabilità e l’adattabilità. A seconda della tipologia di opera e della sua destinazione d’uso si applicano questi tre criteri che richiedono la piena accessibilità, o l’accessibilità limitata a parti essenziali dell’edificio (visitabilità), o l’accessibilità differita nel tempo (adattabilità).
Perché progettare senza barriere?
Le soluzioni ambientali non accessibili hanno scarsa sostenibilità economica. Il costo sociale di un edificio, un servizio o una porzione di città inaccessibile lo paghiamo prima o poi tutti: quando abbiamo dei bambini piccoli, quando siamo limitati nella nostra mobilità o nella percezione a motivo di infortuni o patologie, quando invecchiamo.
E sono poco sostenibili anche le progettazioni che privilegiano spazi e componenti speciali, “per disabili”. Se tale scelta non è richiesta dal tipo di intervento o dal committente (ad esempio, una abitazione privata dove la persona abbia esigenze motorie o sensoriali particolari), il risultato è un aumento dei costi di realizzazione e di gestione.
Si pensi ai servizi igienici o ai percorsi o ai sistemi di sollevamento. Progettare un bagno che vada bene per tutti elimina i costi di un bagno speciale separato. Realizzare un sistema di sollevamento che possa essere usato da tutti migliora la qualità dei servizi offerti.
In conclusione uno spazio accessibile, senza barriere architettoniche, ha un elemento di valore in più rispetto agli altri: può essere utilizzato da più persone, perché è stato pensato “per tutti”, quindi anche per chi ha specifiche esigenze motorie, sensoriali o di altro tipo.
Il tutto si lega al concetto di inclusione, che si contrappone a quello di separazione…