La città accessibile e inclusiva è un traguardo ambizioso, che può essere raggiunto considerando i progetti e i servizi che la riguardano in modo olistico.
Considerare le barriere architettoniche come superate quando
si è provveduto ad installare un bagno accessibile e magari anche una rampa (che evita i gradini a chi usa la sedia a ruote) è un’ingenuità, ma anche un errore metodologico.
Il concetto di accessibilità, a cui fa da contrappunto quello di barriera, è invece molto articolato e la sua declinazione deve fare i conti con la diversità umana, con le situazioni di ridotta mobilità fisica, sensoriale in tutte le loro forme, con il tema dell’invecchiamento della popolazione, con le patologie transitorie.
E’ un cambio di paradigma che deve volgere ad uno standard progettuale più rispondente all’individuo reale che a quello ideale, quest’ultimo perfettamente sano ed efficiente sotto il profilo fisico sensoriale, ma sul quale non ci si può basare per un progetto inclusivo.
E’ un concetto già espresso con la Piramide dell’Età.
In questo senso vorrei affrontare una barriera troppo spesso trascurata o sottovalutata e le possibili soluzioni per superarla: la barriera della distanza.
Immaginiamo un’area pedonalizzata in una delle nostre città, magari proprio nel centro storico, o un fiera con padiglioni espositivi e distanze di percorrenza chilometriche, ma anche un grande museo, un’area archeologia, una villa storica o un orto botanico.
Sono solo degli esempi per spiegare che il problema è più diffuso di quanto non si pensi, ma viene percepito solo da chi vive questa difficoltà in prima persona.
In questa fascia di utenti possono rientrare molte tra le persone anziane, chi usa una sedia a ruote o ausili per la mobilità quali grucce o stampelle, ma anche chi è momentaneamente impedito a causa di un incidente o una patologia.
Non esiste uno standard per dire quale sia il limite per le persone con difficoltà motorie, dato che la cosa è molto soggettiva. Possiamo dire che la distanza di 50 metri è un primo riferimento, una specie di linea di demarcazione. Ma può non bastare e comunque nella progettazione di uno spazio complesso spesso non è facile tenerne conto anche se vi è spiccata sensibilità al tema. Eliminare o ridurre il disagio si può attraverso soluzioni progettuali che facciano ricorso a sistemi di seduta (sedili, panche e panchine) ben distribuiti lungo i percorsi e all’installazione di corrimano che possano essere un valido sostegno.
Ma se le distanze solo notevoli queste soluzioni architettoniche non bastano e si deve intervenire con altri accorgimenti e servizi.
Si può fare ricorso a sistemi di mobilità alternativa che si avvalgono di mezzi elettrici di varia tipologia a seconda delle esigenze e dei luoghi (elettroscooter a quattro ruote da guidare autonomamente o autoveicoli elettrici con conducente). Questi mezzi permettono alle persone con difficoltà motorie di spostarsi senza disagio in aree urbane, parchi o spazi espositivi con lunghe distanze di percorrenza.
Si tratta quindi di un servizio più che di una soluzione progettuale, ma che rientra a pieno titolo tra i sistemi per superare questo tipo di difficoltà.
In Gran Bretagna un servizio di mobilità alternativa esiste dalla fine degli anni Settanta, ha un nome, Shopmobility, una organizzazione precisa e una ramificazione in tutto il Paese.
In Italia vi sono degli esempi a carattere isolato e con caratteristiche diverse tra loro ma tutti hanno l’obiettivo di ridurre il disagio per chi ha difficoltà nel camminare:
il Mobility Center Expo nell’ambito dell’Expo di Milano
e il Servizio di automezzi elettrici a Villa d’Este